In Russia non ci sono solo BadMoodMan Music e Solitude Productions a dettar legge nel panorama funeral doom: Stygian Crypt Productions, MFL Records e più recentemente anche la GSP, si stanno facendo sempre più largo nel panorama dei suoni "apocalittici". La Stygian in collaborazione con la Backfire Productions, ha rilasciato sul mercato, sul finire del 2016, il nuovo e terzo album dei russi The Extinct Dreams, dal titolo rigorosamente in cirillico, fortunatamente tradotto anche in inglese in 'Fragments of Eternity'. Il genere è evidentemente quello death doom forgiato dagli insegnamenti dei maestri My Dying Bride e dai primi Anathema, quelli di 'Serenades', per intenderci. Quattro le tracce incluse in questo bel digipack, per una durata che sfiora i 48 minuti di sonorità per lo più decadenti, fortemente malinconiche, ma quella malinconia però, che almeno nel sottoscritto, genera pura gioia. Si lo so, sono abbastanza contorto, ma le note introduttive di "Karma", con quel loro mood non proprio gioioso, riescono comunque a infondermi un senso di pace; dopo poco meno di quattro minuti si sprofonda in un funeral doom non pervaso però dai sacri crismi catacombali che vuole il genere. E proprio qui sta il punto di forza della band, in quanto la pesantezza del doom viene smorzata da suoni più melodici, a tratti eterei, e la nefandezza dei gorgoglii vocali viene mitigata da vocals pulite ed evocative che rendono l'ascolto decisamente più piacevole oltreché agevole. Le aperture melodiche nella seconda parte di questa lunghissima traccia (di ben 18 minuti), volgono poi lo sguardo a sonorità di band quali Saturnus e primi Swallow the Sun, per un risultato conclusivo davvero soddisfacente per il sottoscritto. Il terzetto siberiano una certa esperienza nel corso degli anni l'ha accumulata e si sente soprattutto nella seconda traccia, "Damodara Stotra", la song decisamente più dinamica del disco grazie a quel suo incedere carico di groove che ancora una volta ha il pregio di regalarmi un sorriso e un po' di spensieratezza, pur continuando a crogiolarmi nella malinconia dei miei pensieri. Ottimo peraltro il break acustico a metà brano, che regala suoni che evocano inequivocabilmente la tradizione religiosa indiana e mostrano il lato più colto ed elegante dell'act di Barnaul che sul finire del pezzo trova modo anche di citare gli Anathema di 'The Silent Enigma'. Senza essermene accorto, mi ritrovo già al minuto trenta del disco a godermi la terza "In Searchs of Itself" e le sue spettrali tastiere iniziali che introducono ad una song capace di deliziare i palati con quel suo tremolo picking nostalgico e un seguente riffing più acuminato di chiara matrice death metal, che sembra quasi prendere le distanze da quanto suonato fino ad ora. Però la song è lunga e avrà modo di cambiare più volte umore lungo i suoi oltre dieci minuti tra bordate ritmiche, vocals evocative e splendide melodie che risuonano nell'aere. Si arriva alla canzone conclusiva, quella che dà il titolo al disco: credo sia il suono di un sitar quello che si diffonde vibrante nell'aria con quella sua magia derivante da culture lontane e che insieme ad un intrigante cantato (quasi vicino alla recitazione di una preghiera) sanciscono l'eccelsa prova di questa interessantissima band russa, da tenere sotto stretta sorveglianza. (Francesco Scarci)
(Stygian Crypt Productions/Backfire Productions - 2016)
Voto: 80
Source: The pit of the damned